Una preziosa opera di Rino Sgavetta donata alla nostra chiesa per la Pasqua 2013

“La scultura è stata ricavata da una vecchia radice di ulivo, una sinuosa linea chiusa che sembra inchinarsi di fronte al mistero del dolore”

Piet? Sgavetta
Si avvicina la Santa Pasqua, nell’inquietudine del tempo presente. Per chi non ha come unico pensiero la vacanza, il calendario liturgico presenta ancora tanti momenti di riflessione sul Mistero: Quaresima, Passione, Crocifissione, Morte, Risurrezione. Molti artisti,nel corso dei secoli, si sono espressi su questi temi, grazie alla committenza, contribuendo a divulgare il pensiero del Vangelo. Tra le immagini più toccanti che ci ricordano i fatti evangelici vi è quella della “Pietà”: la Madre che tiene sulle ginocchia il Figlio morto. Il grande Michelangelo si è cimentato diverse volte in questo tema, in diversi momenti della sua vita. Oggi però gli artisti sono liberi, liberi di esprimere il loro pensiero e il loro mondo, nel quale sentono e vedono cose non alla portata di tutti.
E allora può capitare che uno di loro ‘veda’ in un tronco d’albero le due particolari figure, com’è capitato a Rino Sgavetta. Quel ceppo d’ulivo stanziava da più di dieci anni nel suo giardino e in tutto quel tempo, nel succedersi delle stagioni, l’ha guardato e riguardato, girandoci attorno per togliere l’erba. Finchè un giorno, improvvisamente, quel legno informe ha svelato un’anima: un’emozione unica per l’artista! Da allora quella immagine di profondo dolore è diventata ossessione, pensiero notturno, preghiera, tormento e paura di non riuscire a finirla... Rino ha intagliato, scavato, sanando e rimarginando anche le ferite degli anni, levigato e lucidato, fino a tirarla fuori, a dargli la forma racchiusa nella sua mente. Una vecchia radice di ulivo, l’albero tipico della Palestina dalle caratteristiche venature, un albero simbolico ricordato tante volte nel Vangelo, un albero che vive centinaia di anni, tra le mani di Sgavetta ha cominciato così una nuova vita. Da rudere informe, insignificante e abbandonato, ha avuto la massima glorificazione nella trasformazione in una scultura sacra. Anche qui, come nelle altre “forme in movimento” dello scultore si percepisce un’intesa, si intuisce un dialogo intimo con l’elemento naturale.
Non è facile al primo sguardo capire il messaggio, ma questo è anche il bello dell’arte. Bisogna fermarsi e lasciarsi andare, far emergere la nostra sensibilità più profonda, cosa molto ardua per noi oggi, disperatamente sempre di corsa per cose che non servono a consolarci. La consistente linea di legno chiuso si avvolge e si libra nell’aria, con slancio e dinamismo di vuoto e pieno: nella parte alta sembra flettersi nella sintesi del capo chino di Maria sopraffatta dal dolore; nella fascia in basso si inarca nell’abbandono del corpo di Gesù inerte sulle ginocchia della Madre. Il dolore di Maria non è un dolore urlato, ma meditato, elaborato, dignitoso, accettato, risolto qui in una ricerca di armonia ricca di suggestioni date anche dal gioco della luce sulla superficie venata. L’eco di un dolore raccolto viene trasfigurato in dolcezza, in un legno da accarezzare dalla apparente semplicità. Nella scultura di notevoli dimensioni (alt. 95 cm, larg. 110 cm, prof. 60 cm) l’astrazione è ripensamento, ritorno a quell’essenzialità che sola può dare emozioni e può interpretare un sogno.
Vista da vicino, l’opera sprigiona un senso di potenza e di forza, ma anche di drammatica inquietudine, data dalle crepe del legno, sempre vivo e dalle sofferte e accentuate screziature che sembrano di sangue. Certo non è da guardare facendo un confronto con le sculture del passato: l’artista è chiamato ad essere se stesso, ad esprimere la propria unicità irripetibile, a fare nuove esperienze, a cercare nuove visioni, senza rimanere in ostaggio del tempo che non c’è più, pur non rinnegandolo. Il supporto ovale in compensato di pioppo è stato realizzato con maestria dall’amico Angelo. Da anni Rino Sgavetta si dedica alla scultura, pur continuando a dipingere. Se nelle sue prime opere erano evidenti diverse sfaccettature in figure ben riconoscibili, nel tempo si è allontanato sempre più dal vero, esprimendo pensieri e concetti di vita attraverso motivi serpentiformi che libera all’interno del legno. E’ il suo modo di rendere testimonianza, il suo atto di fede, la sua ricerca di dare un contributo al mondo attraverso la sua arte, lavorando per mesi con passione e fatica vera, senza risparmiarsi, tra la polvere e il rumore degli attrezzi, nel poco spazio del garage e nella precarietà della ripida salita esterna.
Mirella Capretti